BRUNO CARDINI

Libera_mente

LA GUERRA DI GUERRIGLIA

La guerra di guerriglia ha le sue regole. Non è spontaneismo, non è insurrezionalismo anche se questo ha avuto grandi tradizioni sia teoriche che pratiche (Pisacane e Garibaldi) nella storia italiana.

Chi all'indomani dell'8 settembre scelse la via della montagna non sapeva molto di tali regole. Per la maggior parte di questi pochi audaci la scelta era quella di gettare un seme o di fare una testimonianza, la situazione era confusissima e si doveva anche attendere che qualcosa si chiarisse. Ma alla fine della primavera del 44 la situazione era in gran parte chiara e si presentava in questi termini:

Sui monti o genericamente alla macchia vi erano tra i castelli romani e il confine settentrionale dell'Italia circa 80.000 combattenti, generalmente male armati con munizioni per pochi minuti di fuoco, sufficienti per azioni del tipo "mordi e fuggi". Sul fronte della linea Gustav 20 divisioni tedesce a ranghi ridotti fronteggiavano altrettante divisioni alleate ad organico quasi pieno, sostanzialmente 180.000 uomini contro 220.000.

Nel territorio occupato dal tedesco i fascisti avevano lanciato i bandi di coscrizione obbligatoria per un nuovo esercito che non avevano dato i frutti sperati (meno di 80.000 uomini su 450.000 potenziali), ma il timore di venir richiamati per addestrasi in Germania e poi, magari, essere usati sul fronte russo aveva spinto molti a presentarsi nella Guardia Nazionale Repubblicana e nella varie compagnie di ventura (Decima Mas, Muti, SS Italiane, Tagliamento e tante altre). I fascisti avevano quindi più di 100.000 uomini da usare contro i partigiani. Per lo più tali forze avevano un forte insediamento locale ad eccezione della Tagliamento e delle SS Italiane destinate, fin dalla fondazione ad operare in tutta Italia contro i partigiani.

In aggiunta a ciò i tedeschi avevano altri 100.000 combattenti a presidio territoriale (Luftwaffe, comunicazioni, genio) e stavano portando in Italia l'equivalente di tre buone divisioni (20.000 uomini) da usare in funzione antipartigiana.

Di fronte ad una tale sproporzione di forze che era evidente a tutti i livelli della catena di comando delle forze partigiane era forte e giustificata una posizione di attendismo, ossia di risparmiare le forze in attesa dello sfondamento degli alleati per operare con questi in un'ultima battaglia finale. Una tale posizione era anche sostenuta dalla parte inglese degli alleati che, seppure in minoranza tra le forze combattenti, per la suddivisione dei comandi tra i vari fronti aveva la direzione della guerra nel mediterraneo. Sia all'attendismo nazionale che a quello alleato si è spesso attribuita la motivazione di non voler che i partigiani, a prevalente direzione comunista, realizzassero una guerra di liberazione dalla quale ne sarebbero usciti forti e autorevoli.

Visti i risultati della lotta dove, dei partigiani combattenti della primavera del 44, uno su tre non arrivò vivo alla fine della lotta e dove i comunisti persero i quadri migliori non si può dire che la motivazione attendista  finalizzata all'impedire un rafforzamento dei comunisti fosse una idea tanto buona